La natura giuridica della responsabilità degli enti
L’incidenza di una declaratoria di non punibilità per tenuità del reato presupposto.
E’ principio consolidato del nostro ordinamento, quello secondo cui la responsabilità penale non può che ricondursi all’azione o all’omissione di una persona fisica, dunque all’agire umano.
Tale assunto, per molto tempo, è apparso insuperabile, scortato, peraltro, dal disposto costituzionale secondo cui la responsabilità penale è personale (art. 27), dal quale è stato altresì ricavato il principio secondo cui “societas delinquere non potest”.
Tuttavia, in un’ottica prettamente utilitaristica, il disvalore delle condotte illecite nell’ambito dei traffici commerciali, è sempre stato attenuato e spesso anche giustificato dalla logica del profitto che caratterizza il mercato.
Si è reso, dunque, necessario colmare la lacuna normativa in materia di reati realizzati “nell’interesse o a vantaggio” dell’ente, inteso come ente economico, per i casi in cui tipologie eterogenee di forme associative si rendessero responsabili di fattispecie di reato, anche, se il caso, prescindendo dalla responsabilità dell’autore fisico del fatto posto in essere.
D.lgs n.231/2001
Il legislatore vi ha provveduto con l’entrata in vigore del d.lgs. n. 231/2001, il quale, però, ha creato numerose incertezze interpretative sia con riferimento alla natura della responsabilità degli enti che in sede applicativa.
Il dato testuale, infatti, già dal nomen juris, parrebbe voler configurare la natura della responsabilità dell’ente come amministrativa, definendola “responsabilità degli enti per gli illeciti amministrativi dipendenti da reato”.
Tuttavia, proprio il fatto che quale presupposto della predetta responsabilità sia posta una fattispecie di reato, ha fatto concretamente dubitare della tesi della responsabilità come amministrativa per fare, invece, spazio all’orientamento che inquadra tale responsabilità nell’alveo del diritto penale.
Il dibattito non è privo di senso, sol che si consideri che, dall’inquadramento nell’una o nell’altra categoria giuridica deriverà, ad esempio, la conseguente applicazione delle imprescindibili garanzie costituzionali apprestate dal sistema penale e la tenuta del sistema.
Dubbi, infatti, si sono posti circa la concreata applicazione agli enti degli istituti quali la presunzione d’innocenza, la garanzia del ne bis in idem, l’obbligatorietà del sistema penale.
Tra i problemi più rilevanti circa la compatibilità costituzionale, si annovera la presunzione d’innocenza ex art. 27, secondo comma Costituzione e la diversa presunzione di colpevolezza prevista dall’art. 6 del citato decreto in esame.
L’ente, infatti, andrà esente da responsabilità solo ove riesca a dimostrare di aver – l’organo dirigenziale – posto in essere i modelli di organizzazione e di gestione preventivi alla realizzazione di reato o l’elusione fraudolenta degli stessi, con un’ inversione dell’onere della prova rilevante a carico dell’ente stesso.
Tale previsione certamente cozza con il principio di presunzione di innocenza posto a base di tutto il sistema penale.
Altro argomento sostenuto da chi nega la tesi della natura penale degli illeciti in questione è quello relativo alla mancata imputazione penale della responsabilità, atteso che la società risponde per un fatto proprio commesso, però, da altri, nonostante la responsabilità dell’ente debba considerarsi diretta, immediata e, semmai, concorrente con quella dell’agente, la quale, tuttavia rimane soltanto eventuale.
Il principio di personalità della responsabilità, mostra di cedere, inoltre, con riferimento alla particolare disciplina delle vicende modificative dell’ente (art. 28, 29, 30) ove la rispondenza ai fatti commessi da parte di soggetto diverso si spiega in ragione di evitare azioni elusive del precetto di legge.
Ancora, verso la tesi della natura amministrativa milita anche il termine di prescrizione fissato in 5 anni dall’art. 22, diversamente dal termine di sei anni previsto dal codice penale.
In realtà, la tesi che privilegia la natura penale è assistita dalla circostanza che è possibile ritenere la sussistenza della responsabilità solo ed in quanto vi sia un reato presupposto – quali, ad esempio, i reati di frode in danno dello stato o di un ente pubblico, i reati di corruzione – ossia dalla sussistenza di un reato previsto e punito dalla legge penale, senza il quale la responsabilità amministrativa dell’ente non si realizza, così come prevista dal decreto in esame, e, dunque, di un reato completo di tutti i suoi elementi costitutivi.
Altri elementi rilevanti nel senso della natura penale, sono rappresentati dal fatto che l’autorità competente a svolgere le indagini e ad esercitare l’azione penale è il pubblico ministero, dall’applicabilità delle ipotesi tentate nonché dalla retroattività della norma più favorevole alle condotte sanzionate.
Nuovo orientamento
L’orientamento più recente e convincente, tuttavia, muove dalla composizione di entrambe le tesi contrapposte sin qui esposte, da cui sembrerebbe scaturire un tertium genus di responsabilità, che la qualifica quale responsabilità punitiva irriducibile al penale delle persone fisiche.
Secondo questo orientamento, infatti, si tratterebbe di un illecito strutturato sui parametri di prevenzione generale orientati non verso la punizione, ma mirante alla prevenzione e neutralizzazione dei rischi.
L’ordinamento tende ad un modello impeditivo dell’illecito e ad una eventuale riparazione ex post rispetto a quanto realizzato. La responsabilità è, dunque, senza colpevolezza, cui corrisponde un sanzione formalmente non penale, rispondente ad una colpa oggettiva.
Rimane, tuttavia, fermo che l’imputabilità è tutta a carico dell’ente il quale ne risponde quale vero destinatario degli effetti penali, anche nell’ipotesi, addirittura, in cui l’autore materiale non sia identificato e non sia imputabile.
Si tratta, dunque, di un diritto penale che è stato definito “post moderno”, inevitabilmente adattato alle persone giuridiche, la cui diversità è pienamente giustificata dalle differenze che la caratterizzano rispetto alle persone fisiche.
Del resto, la stessa disciplina riconosce la propria peculiarità rispetto alle norme del diritto penale, laddove all’art. 34, ritiene applicabili le norme “del processo penale” in quanto compatibili, nonché
del successivo art. 3, ove le disposizioni applicabili all’imputato, anche qui, si applicheranno se compatibili.
Come accennato in precedenza, l’ente risponde anche nel caso in cui sia ignoto o non imputabile l’autore materiale del reato (art. 8). Si delinea, quindi, una considerevole autonomia tra autore formale e autore sostanziale dell’illecito.
Tale autonomia sussiste anche nelle ipotesi di estinzione diverse dall’amnistia, che diventa, dunque, l’unico caso tale per cui l’ente possa non essere ritenuto responsabile.
Tale previsione ha fatto sorgere dubbi circa la permanenza in capo all’ente della responsabilità in caso di non punibilità della persona fisica autrice dell’illecito.
Il d.lgs. n. 28 del 2015 ha introdotto la causa di non punibilità per tenuità del fatto, per quelle ipotesi in cui la pena non sia superiore ai cinque anni e l’offesa non sia grave.
Tale previsione, nulla mutando rispetto al decreto in esame, ha generato numerose incertezze applicative. Si pensi, infatti, che molti dei reati presupposto per la responsabilità in esame, sono puniti dall’ordinamento con pene inferiori ai 5 anni e si riscontrano in parecchi casi di illecito amministrativo degli enti, come i reati ambientali, societari, contro il patrimonio, contro la P.A.
Sebbene l’orientamento prevalente in dottrina e in giurisprudenza fosse quello di ritenere l’ente non punibile in caso di sentenza ex art. 131 bis nei confronti dell’imputato persona fisica, la Cassazione con sentenza n. 9072/2017 ha dichiarato che non può prescindersi dall’accertamento della punibilità e dall’eventuale applicazione delle cause di non punibilità anche all’ente, purché tale valutazione sia operata in concreto e non sia conseguenza automatica della declaratoria di non punibilità dell’autore stesso.
Ciò, anche in considerazione del fatto che anche in caso di sentenza passata in giudicato ex art. 131 bis, l’accertamento del reato non è escluso dal casellario giudiziario attinente al reo, conformemente all’assunto che seppure il reato non sia punibile sia, però, stato realizzato.
In conclusione, dunque, sebbene la sentenza che dichiara la responsabilità pur non punibile dell’ente, non abbia efficacia di giudicato in un procedimento civile o amministrativo per la responsabilità giuridica dello stesso, il giudicante non potrà prescindere dalla valutazione in concreto della possibile applicabilità della particolare tenuità del fatto all’ente, indipendente da quanto accertato con sentenza definitiva nei confronti dell’autore persona fisica del reato.
Sabina Bella
- Posted by Sabina Bella
- On 5 Marzo 2019