IL CONTRATTO DI SPONSORIZZAZIONE SPORTIVA: LE CLAUSOLE ACCESSORIE
La proliferazione dei contratti di sponsorizzazione sportiva ha determinato l’introduzione generalizzata di molteplici clausole ad oggetto obblighi accessori ai principali, con le quali addivenire a una quanto più definita e sartoriale articolazione del rapporto sponsorizzativo: di seguito una rassegna delle più significative.
Clausole di esclusiva
Clausola tra le più ricorrenti poiché di indubbio favore per lo sponsor, l’esclusiva assolve funzione di vincolare lo sponsorizzato a non stipulare contratti di sponsorizzazione con qualsiasi impresa (esclusiva “assoluta”) o con le sole dirette concorrenti dello sponsor, operanti, dunque, nel medesimo settore merceologico (esclusiva “merceologica”).
In altri termini, con tale clausola lo sponsorizzato si obbliga, per l’intera durata del contratto, a mantenere un determinato sponsor quale unico soggetto sponsorizzante: per l’effetto, a quest’ultimo in via esclusiva è riservato il diritto di porre in essere atti e campagne pubblicitarie recanti nome, immagine ed eventuali segni distintivi personali dello sponsorizzato (nickname, iniziali o logo).
La clausola, a tutta evidenza, impone un significativo onere aggiuntivo in capo allo sponsorizzato, motivo per cui non è infrequente pattuire, per il suo inserimento in contratto, il riconoscimento di un maggior corrispettivo.
La portata territoriale assume invece, di regola, carattere mondiale, in piena coerenza con la ratio della clausola e l’ormai comune estensione ai canali social degli obblighi promozionali a carico dello sponsorizzato. Parimenti diffusi, specie negli accordi maggiormente lucrativi, sono i c.d. patti di non concorrenza, aventi finalità di estendere la portata temporale degli obblighi di esclusiva ai periodi posteriori la vigenza contrattuale (spesso a titolo oneroso).
Morality clauses
Ulteriori pattuizioni ricorrenti sono le c.d. morality clauses, le quali fanno dipendere lo scioglimento del contratto – e talvolta anche il pagamento di una penale – al verificarsi di condotte comportamentali negative dello sponsorizzato tali da ledere l’immagine dello sponsor o in ogni caso emergere quali fonte di danno.
Dette clausole, pertanto, risultano prescrivere doveri di astensione da taluni comportamenti ritenuti contrari ai valori e/o agli interessi dello sponsor; obblighi che tuttavia, secondo la linea evolutiva più recente, non afferiscono la mera attività sportiva dello sponsorizzato ma altresì la sua sfera privata. Esempi in tale ultimo senso sono le clausole sanzionatorie delle condanne penali riportate per delitti non colposi nonché di uso di sostanze stupefacenti, rilascio di dichiarazioni pregiudizievoli per lo sponsor e condotte derisorie ovvero violative di decoro, pudore e senso del ridicolo. Con precisazione – promanante da noto caso tra un celebre calciatore brasiliano con passata militanza in Italia e un suo sponsor personale – che non determinano inadempimento contrattuale quelle condotte, pur legittime, potenzialmente tendenti ad offuscare l’immagine pubblica dello sponsorizzato (come ad esempio, relazioni sentimentali non approvate dal pubblico, rottura del rapporto coniugale, professione di idee controcorrente o conversione ad un credo religioso impopolare nel contesto storico e sociale corrente). Siffatte condotte rappresentano infatti espressione del diritto di autodeterminazione del singolo, con la conseguenza che devono ritenersi nulle le eventuali clausole che ne impongano l’astensione, giacchè in contrasto con i principi generali, anche costituzionalmente enunciati, in tema di diritti della personalità (Tribunale Milano, Sez. I, 09/02/2015).
Le morality clauses puramente sportive, di contro, vanno tipicamente a sanzione di frodi o illeciti sportivi perpetrati dallo sponsorizzato (es. violazioni delle disposizioni antidoping), provvedimenti di sospensione o inibizione sportiva comminati e comportamenti di razzismo o mancato fair play.
Da ultimo va rappresentato come l’apposizione della clausola in parola rivesta per lo più carattere cautelativo, potendo anche in suo difetto conseguirsi pronuncia giudiziale di risoluzione del contratto nel caso di condotte pregiudizievoli per lo sponsor. Invero, posto che la sponsorizzazione si caratterizza per il rilevante carattere fiduciario del rapporto, assumono particolare importanza i doveri di correttezza e buona fede nello svolgimento del rapporto obbligatorio (artt. 1175 e 1375 c.c.), i quali, come noto, possono individuare obblighi comportamentali accessori e integrativi a quelli contrattuali. Obblighi ulteriori che, se sussistenti, risulterebbero inadempiuti proprio per effetto delle condotte lesive suindicate, con conseguente diritto dello sponsor al risarcimento del danno, eventualmente corredato dalla risoluzione contrattuale ove trattasi di inadempimento non avente scarsa importanza nell’economia generale del rapporto (Cass. civ., sent. n. 12801/2006).
Clausole risolutive e di recesso per risultati sportivi negativi dello sponsorizzato
Al pari delle morality clauses, l’incorporazione, frequente, di tali clausole nel regolamento contrattuale trova giustificazione nella spiccata componente aleatoria che connota la sponsorizzazione: sussiste difatti un rischio contrattuale non trascurabile per lo sponsor, cui non è dato prevedere con piena certezza l’effettivo ritorno promozionale dell’operazione, in quanto legata a doppio filo alle vicende sportive ed extrasportive dello sponsorizzato.
Per elidere o comunque diminuire il rischio contrattuale, è allora sempre buona norma per lo sponsor tutelarsi pattuendo apposite clausole risolutive espresse o di recesso unilaterale (e connesse clausole penali), con cui attribuirsi la facoltà di sciogliere il contratto in ipotesi di risultati negativi dell’atleta o del sodalizio (quali esemplificativamente, retrocessioni da campionati o estromissioni per cause non agonistiche, serie di risultati insoddisfacenti, roboanti eliminazioni da tornei).
Clausole di divieto promozionale nel periodo di silenzio olimpico
Ogni accordo sponsorizzativo di atleti partecipanti ai Giochi Olimpici, anche invernali, deve recepire l’obbligo di limitazione promozionale sancito dalla Rule 40, Bye-Law 3 della Carta Olimpica; disposizione ai sensi della quale, nel periodo del c.d. silenzio olimpico, lo sfruttamento di nome e immagine degli atleti olimpionici e personale al seguito deve soggiacere alle rigorose restrizioni dettate dal Comitato Esecutivo del CIO (a mezzo delle Linee Guida di volta in volta emanate).
Principio generale corrente è che dai nove giorni precedenti ai quattro giorni successivi la cerimonia di apertura (periodo di c.d. silenzio olimpico) è ammessa attività di advertising sugli atleti partecipanti e relativo staff solo allorchè non instaurante una connessione, diretta o indiretta, con l’evento e le istituzioni olimpiche (ivi compresi i Comitati Olimpici Nazionali e le Federazioni Sportive Nazionali dello sponsorizzato). È fatto pertanto divieto di utilizzare a fini promozionali nomi, immagini e video degli atleti e/o delle loro performance sportive (se generanti il detto effetto associativo) nonchè ogni termine, espressione, simbolo o design collegato ai Giochi (c.d. properties olimpiche).
La limitazione va chiaramente intesa quale estesa altresì agli atleti partecipanti, ai quali non è dato effettuare alcuna attività promozionale in favore degli sponsor individuali se non a mezzo di messaggi di ringraziamenti generici, su canali social e siti web personali, recanti la sola menzione dell’impresa. Contrariamente, non sono soggetti a tale restrizione gli sponsor ufficiali della manifestazione ed inoltre quelli di CIO, Comitati Olimpici Nazionali e rispettivi Team Olimpici (c.d. partner olimpici), stanti gli specifici accordi stipulati in forza dei quali è loro conferito il diritto di esercitare, in via esclusiva, attività promozionale di natura associativa.
- Posted by MepLaw
- On 18 Febbraio 2022