
Diritto di critica e lavoro: quando si rischia il licenziamento?
Con questo contributo si vogliono analizzare e delineare i casi in cui si può astrattamente ritenere legittimo il licenziamento per giusta causa del lavoratore che abbia travalicato il proprio diritto di critica nei confronti del datore di lavoro, anche alla luce delle ultime pronunce giurisprudenziali sulla materia.
Quali sono le conseguenze di commenti inappropriati sui canali social dell’azienda presso cui lavoro?
La Corte di Cassazione, sezione Lavoro, ha risposto al quesito, in particolare nel 2023 quando ha stabilito che sia legittimo, da parte del datore di lavoro, licenziare, per giusta causa, il dipendente laddove questo non si sia limitato ad utilizzare il proprio diritto di critica ma abbia utilizzato frasi finalizzate a ledere la reputazione dell’azienda.
Nel caso esaminato dalla Corte il lavoratore aveva leso sul piano morale l’immagine del proprio datore di lavoro, facendo riferimento a fatti non oggettivamente certi o provati.
Da ultimo la Cassazione ha ribadito e confermato tale orientamento, specificando che la critica del lavoratore può ritenersi legittima solamente se le espressioni rientrano nei criteri di continenza formale e sostanziale (Cassazione Penale, Sentenza n. 17784 del 04.05.2022).
Difatti per non cadere nell’illegittimità è sempre necessario che i fatti che il soggetto espone siano rispondenti al criterio della veridicità e che non si travalichi mai il parametro della correttezza, del decoro e della pertinenza espressiva.
La critica del lavoratore per rientrare nel criterio della pertinenza deve avere come obiettivo finale un interesse meritevole, che in particolar modo nel rapporto lavorativo, deve essere individuato nelle condizioni dello svolgimento della prestazione e nelle dinamiche dell’impresa.
Ciò che è sicuramente illegittimo è, per esemplificare, pubblicare sulla bacheca di un social network commenti gravemente lesivi dell’immagine e del prestigio dell’azienda e dell’onorabilità di persone legate ad essa che suggeriscano un clima torbido all’interno dell’azienda con accenni a minacce e pressioni.
Non si deve inoltre escludere che le condotte del lavoratore che si lascia andare a commenti negativi, non rispettando i requisiti di verità, continenza e pertinenza possano poi portare all’irrogazione di un illecito disciplinare.
Critiche espresse su chat private
Si segnala che nel caso in cui le critiche siano state espresse nelle chat private o in gruppi privati sui social network, la Cassazione ha ritenuto con la pronuncia n. 21965 del 2018 che, stante la natura chiusa e privata delle chat, la pubblicazione da parte del lavoratore di frasi offensive nei confronti della società datrice di lavoro all’interno della chat di Facebook, nel caso in esame, non potesse integrare né la fattispecie del reato di diffamazione né la circostanza poteva essere posta a fondamento di un licenziamento per giusta causa, in quanto, secondo gli Ermellini, date le modalità della condotta da cui risultava evidente la volontà di mantenere privata la conversazione senza diffondere il contenuto, potenzialmente lesivo, all’esterno.
Critiche espresse su chat pubbliche
A contrario, la Corte ha ritenuto in un caso in cui il lavoratore aveva criticato il datore di lavoro diffondendo tale messaggio sulla bacheca di un social network, che fosse possibile ravvisare, stante anche l’individuabilità della persona, l’ipotesi del delitto di diffamazione di cui all’art. 595, aggravata dalla previsione al comma 3 c.p., in quanto commesso “col mezzo della stampa o con qualsiasi altro mezzo di pubblicità”, oltre che la legittimità del licenziamento per giusta causa, trattandosi di una condotta idonea a concretizzare un grave inadempimento del dovere di fedeltà a cui è soggetto il lavoratore dipendente.
A chiusura si ricorda che, il diritto di critica del lavoratore nei confronti del proprio datore di lavoro è sancito nella Costituzione all’art. 21 e nello Statuto dei Lavoratori all’art.1 della Legge 300/1970. I limiti legislativi in ogni caso non mancano, tra cui, quello relativo al diritto del datore di lavoro alla tutela del proprio onore e della propria reputazione nonché l’art. 2015 del Codice Civile laddove prevede l’obbligo di fedeltà del dipendente.

- Posted by Sara Singh
- On 23 Aprile 2025