Caporalato e conseguenze giuridiche: il caso di Satnam Singh
Gentili lettori, la scrivente Avv. Sara Singh, di origini indiane, per la prima volta, suo malgrado, si accinge a parlare, con il presente articolo, di quello che ad oggi è a tutti gli effetti un caso di cronaca ovvero della morte di Satnam Singh, lavoratore indiano di 30 anni, che ha perso la vita il mese scorso, durante il lavoro – a nero – come bracciante.
La Procura della Repubblica di Latina ha aperto un’inchiesta sulla sua morte ed ha indagato il datore di lavoro, Antonello Lovato. Sulle maggiori testate giornalistiche si è parlato di caporalato: senza voler entrare nel merito della vicenda giudiziaria ancora in essere, vediamo in cosa consiste.
Il reato del c.d “Caporalato”
Il reato del c.d. caporalato è stato introdotto nel codice penale con l’art. 603 bis rubricato “Intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro”, successivamente modificato con la legge 29 ottobre 2016 n.199, che ne ha riformulato i confini, al fine di proteggere e supportare i lavoratori stagionali in agricoltura.
Ma cos’è il caporalato?
Per caporalato s’intende l’intermediazione illegale e lo sfruttamento lavorativo specialmente in ambito agricolo.
La nuova formulazione della fattispecie penale, recita come segue:
“Salvo che il fatto costituisca più grave reato, è punito con la reclusione da uno a sei anni e con la multa da 500 a 1.000 euro per ciascun lavoratore reclutato, chiunque:
- recluta manodopera allo scopo di destinarla al lavoro presso terzi in condizioni di sfruttamento, approfittando dello stato di bisogno dei lavoratori;
- utilizza, assume o impiega manodopera, anche mediante l’attività di intermediazione di cui al numero 1), sottoponendo i lavoratori a condizioni di sfruttamento ed approfittando del loro stato di bisogno.
Se i fatti sono commessi mediante violenza o minaccia, si applica la pena della reclusione da cinque a otto anni e la multa da 1.000 a 2.000 euro per ciascun lavoratore reclutato.
Ai fini del presente articolo, costituisce indice di sfruttamento la sussistenza di una o più delle condizioni:
- la reiterata corresponsione di retribuzioni in modo palesemente difforme dai contratti collettivi nazionali o territoriali stipulati dalle organizzazioni sindacali più rappresentative a livello nazionale, o comunque sproporzionato rispetto alla quantità e qualità del lavoro prestato;
- la reiterata violazione della normativa relativa all’orario di lavoro, ai periodi di riposo, al riposo settimanale, all’aspettativa obbligatoria, alle ferie;
- la sussistenza di violazioni delle norme in materia di sicurezza e igiene nei luoghi di lavoro;
- la sottoposizione del lavoratore a condizioni di lavoro, a metodi di sorveglianza o a situazioni alloggiative degradanti.
Costituiscono aggravante specifica e comportano l’aumento della pena da un terzo alla metà:
- il fatto che il numero di lavoratori reclutati sia superiori a tre;
- il fatto che uno o più dei soggetti reclutati siano minori in età non lavorativa;
- l’aver commesso il fatto esponendo i lavoratori sfruttati a situazioni di grave pericolo, avuto riguardo alle caratteristiche delle prestazioni da svolgere e delle condizioni di lavoro.”
Si puniscono così tutte quelle condotte volte allo sfruttamento della forza lavoro con violenza, minaccia o intimidazione, approfittando del c.d. “stato di bisogno e necessità dei lavoratori”.
Il delitto de quo, inoltre, enuclea ben quattro diverse ipotesi da cui il giudice potrà dedurre la sussistenza delle condizioni di sfruttamento ai fini della colpevolezza e quindi della sussistenza del fatto di reato.
È interessante, infine, come gli Ermellini, negli ultimi anni, abbiano delineato il confine del c.d. caporalato con il reato di riduzione o mantenimento in schiavitù o servitù ex art. 600 c.p., ritenendo di dover distinguere quest’ultimo dal primo, qui in esame, poiché, sebbene lo sfruttamento connesso alla violazione di nome poste a tutela del lavoratore possa astrattamente realizzare entrambi i delitti, nel caso dell’art. 600 c.p. vi è una “significativa compromissione della capacità di autodeterminarsi del soggetto passivo, a causa della verificata assenza di alternative esistenziali validamente percorribili” (Cfr. Cass. Pen., sez. V, 16 marzo 2022, n.17095).
- Posted by Sara Singh
- On 23 Luglio 2024