Atti arbitrari del pubblico ufficiale: la legittimità della reazione del privato
Premessa
La legge 15 luglio 2009, n. 94 – recante “Disposizioni in materia di sicurezza pubblica” – ha trasposto nel codice penale, con conseguente introduzione dell’art. 393 bis, la causa di non punibilità della reazione legittima agli atti arbitrari del pubblico ufficiale, precedentemente prevista dall’art. 4 del d.lgs. 14 settembre 1944, n. 288.
La reintroduzione della non punibilità dei privati che reagiscano all’attività arbitraria dei soggetti dotati della qualifica pubblicistica, già prevista dal codice Zanardelli ma non recepita originariamente dal codice Rocco, destituisce di fondamento logico-giuridico, oltre che storico-sociale, una concezione in termini di autoritarismo dei rapporti tra l’apparato statuale e i cittadini: viene meno l’ideologia politica in virtù della quale il privato è collocato in una posizione di incondizionata soggezione all’attività e volontà dei pubblici agenti, longa manus del totalitarismo statuale.
Coerentemente a tale rinnovata concezione, l’art. 393 bis c.p. statuisce la non punibilità dei delitti di violenza, minaccia, oltraggio e resistenza a pubblico ufficiale qualora quest’ultimo “abbia dato causa al fatto preveduto negli stessi articoli, eccedendo con atti arbitrari i limiti delle sue attribuzioni”. Da ciò, quindi, la irrilevanza penale della condotta del privato che reagisce ad un atto arbitrario posto in essere dal pubblico ufficiale, da un incaricato di un pubblico servizio ovvero da un pubblico impiegato: il privato può legittimamente reagire – non solo verbalmente, ma anche materialmente -, purché tale reazione sia conseguenza proporzionata alla condotta arbitraria posta in essere dai pubblici agenti.
Questioni controverse: la natura giuridica e l’ “eccesso arbitrario”
I principali dubbi interpretativi, dalla cui soluzione dipendono effetti riduttivi od estensivi del penalmente rilevante, concernono la natura giuridica dell’istituto in esame e la nozione di “eccesso arbitrario”.
Posizioni maggiormente garantiste su entrambe le questioni sono state assunte dalle più recenti pronunce degli ermellini.
Con riferimento alla natura giuridica, la Suprema Corte di Cassazione (Cass., Sez. VI, 16.10.2018-29.1.2019, n. 4457) ha infatti ritenuto che l’art. 393 bis preveda una vera e propria causa di giustificazione fondata sul diritto del cittadino di reagire all’aggressione arbitraria dei propri diritti, con conseguente applicabilità dell’art. 59 c.p. in materia di regime di imputazione delle scriminanti. Di non poco conto le conseguenze che scaturiscono da tale qualificazione giuridica: solo con riferimento alle scriminanti (e alle scusanti), non anche per le cause di non punibilità in senso stretto, ha rilevanza il putativo, con la conseguenza per cui la non punibilità opera anche nell’ipotesi in cui il privato reagisca nei confronti del pubblico agente nell’erronea convinzione dell’arbitrarietà della condotta da quest’ultimo tenuta (Cass. Sez. VI 29 gennaio 2019, n. 274983). Evidente, dunque, l’effetto riduttivo dell’area della responsabilità penale.
Contrastata in dottrina e in giurisprudenza, come si è anticipato, è anche la nozione di “eccesso arbitrario” che scriminerebbe l’opposizione del privato al compimento – o mancato compimento, potendosi configurare l’arbitrarietà anche attraverso una condotta di tipo omissivo – di un’attività da parte dell’agente pubblico.
L’orientamento più recente ha delineato quale presupposto applicativo della scriminante in parola un’attività ingiustamente persecutoria del pubblico ufficiale, il cui comportamento fuoriesca del tutto dalle ordinarie modalità di esplicazione dell’azione di controllo e prevenzione demandatagli nei confronti del privato destinatario (Cass., Sez. VI, 18.3.2016, n. 16101; Cass., Sez. VI, 5.3-1.4.2020, n. 11005).
L’arbitrarietà dell’atto, più nello specifico, risulterebbe legata al rapporto di proporzione ed adeguatezza intercorrente tra l’iniziativa assunta e la situazione che la legittima, nel senso che quanto maggiore è la sproporzione dell’atto rispetto alla finalità legittimante, tanto maggiore è il sopruso utile a scriminare la reazione violenta (Cass., Sez. VI, 30.4.2014, n. 18957).
In definitiva, l’arbitrarietà si concretizzerebbe in un qualsiasi comportamento posto in essere in esecuzione di pubbliche funzioni, di per sé legittime ma, connotato da difetto di congruenza tra le modalità impiegate e le finalità per le quali è attribuita la funzione stessa, a causa della violazione degli elementari doveri di correttezza e civiltà (Corte cost. n. 140 del 1998; Cass., Sez. VI, 9.2.2004; Cass., Sez. 6, 27.04.2018, n. 54424), non essendo di contro necessario che l’agente pubblico si rappresenti l’illiceità del proprio fare ed agisca con la volontà di commettere un arbitrio in danno del privato.
Tale esegesi risulta coerente non soltanto rispetto alla dizione letterale della norma, ma altresì in considerazione della sua ratio: il requisito della consapevolezza dell’arbitrarietà, oltre ad essere un quid pluris normativamente non previsto, finirebbe per comportare una sperequazione in danno del privato ostacolando la salvaguardia dei propri diritti pur a fronte di un’aggressione oggettivamente illegittima.
Guendalina Chiesi
- Posted by Guendalina Chiesi
- On 28 Giugno 2022